Con questo lavorino ho imparato un sacco, forse troppo. Magari se lo chiediamo al mio capo, non ho imparato nulla. Tanto tempo fa da traduttori, noi si viveva un guscio fatto di parole scritte, computer e scadenze. Testa bassa e pedalare. Da responsabile di un ufficio, si vive in un eterno gruppo di terapia, fatto di parole sproloquiate, riunioni e target. Le scadenze erano concetti belli e rotondi come la verita’ di Parmenide. I target sono concetti di scuola scettica.
La cosa piu’ difficile e’ gestire gente di posti diversi, con modi di fare diversi, con espressioni diverse e coscienze diverse. Olandesi, finlandesi, francesi, tedeschi, spagnoli e italiani. Una volta al mese me li porto in una stanza, uno ad uno, stringo tra le mani un bloc notes, facendo capire che mo’ guarda che prendo appunti e con il poveretto di turno discutiamo il piano di sviluppo personale. In questi incontri puo’ succedere di tutto: dalle lacrime dell’impiegato, a confessioni putride di dettagli personali, a lunghi silenzi e sguardi vacui.
Alcuni mi stanno proprio sui coglioni e devo fare uno sforzo karmico immenso per non provare repellenza appena li vedo, altri mi stanno troppo simpatici e devo fare uno sforzo per non trattarli meglio degli altri. Uno e’ un delatore, mi corre a riferire i passi falsi dei colleghi. Una non ha mai niente da dire. Ma mai mai mai. Uno si scaccola nemmeno tanto di nascosto. In generale mostrano tutti la medesima tendenza: un desiderio famelico di essere notati, in bene e in male.
A volte mi chiedo se mi odino o mi amino. O forse non sono cosi’ importante nella loro vita per suscitare un sentimento piuttosto che l’altro. A volte mi incazzo e la mia voce si impenna ben oltre al decibel consigliato dall’associazioni gestione del personale. Tutti hanno imparato “pronto” e “vaffanculo” in italiano
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