Sunday, February 25, 2007

Con questo lavorino ho imparato un sacco, forse troppo. Magari se lo chiediamo al mio capo, non ho imparato nulla. Tanto tempo fa da traduttori, noi si viveva un guscio fatto di parole scritte, computer e scadenze. Testa bassa e pedalare. Da responsabile di un ufficio, si vive in un eterno gruppo di terapia, fatto di parole sproloquiate, riunioni e target. Le scadenze erano concetti belli e rotondi come la verita’ di Parmenide. I target sono concetti di scuola scettica.

La cosa piu’ difficile e’ gestire gente di posti diversi, con modi di fare diversi, con espressioni diverse e coscienze diverse. Olandesi, finlandesi, francesi, tedeschi, spagnoli e italiani. Una volta al mese me li porto in una stanza, uno ad uno, stringo tra le mani un bloc notes, facendo capire che mo’ guarda che prendo appunti e con il poveretto di turno discutiamo il piano di sviluppo personale. In questi incontri puo’ succedere di tutto: dalle lacrime dell’impiegato, a confessioni putride di dettagli personali, a lunghi silenzi e sguardi vacui.

Alcuni mi stanno proprio sui coglioni e devo fare uno sforzo karmico immenso per non provare repellenza appena li vedo, altri mi stanno troppo simpatici e devo fare uno sforzo per non trattarli meglio degli altri. Uno e’ un delatore, mi corre a riferire i passi falsi dei colleghi. Una non ha mai niente da dire. Ma mai mai mai. Uno si scaccola nemmeno tanto di nascosto. In generale mostrano tutti la medesima tendenza: un desiderio famelico di essere notati, in bene e in male.

A volte mi chiedo se mi odino o mi amino. O forse non sono cosi’ importante nella loro vita per suscitare un sentimento piuttosto che l’altro. A volte mi incazzo e la mia voce si impenna ben oltre al decibel consigliato dall’associazioni gestione del personale. Tutti hanno imparato “pronto” e “vaffanculo” in italiano

Thursday, February 22, 2007

Avevo calcolato o sperato o semplicemente immaginato che il ritmo della mia vita si sarebbe ammollato da Febbraio in poi. Invece mi sono resa conto che la corsa non e' ancora finita. Sebbene i corsi all'universita' si siano ridotti a due, fatico a starci dietro. Al lavoro sono oramai quattro giorni la settimana e il problema e' che il mal di cuore che incamero tra i computer dell'ufficio mi sputtana il fegato e il cervello ben oltre i quattro giorni remunerati a contratto.

Tiro avanti pensando che mi licenzio appena faccio l'ultimo esame. Tiro avanti facendo il conto alla rovescia e, soprattutto, la mattina quando faccio jogging al Vondel mi immagino mentre faccio il discorso di addio. La mia mente prende il volo e mi vedo come in un sogno con le dimissioni in mano, piena di gioia. A seconda del mio umore il discorso che immagino e' talvolta sentito, a volte ironico, a volte sarcarstico. Un paio di volte mi sono scusata e ho detto che non ero brava a fare discorsi e la roba e' morta li'.

Lo scenario varia di volta in volta. A volte il discorso lo faccio tra le scrivanie del mio dipartimento; a volte lo faccio nell'ufficio dell'amministratore delegato con i colleghi attorno; a volte al locale sotto l'ufficio dove si beve la birra il venerdi' sera. Una volta ho mandato una mail perche' non avevo coglioni di farlo a voce.



E poi?


E poi mi dico e dico a tutti che me ne voglio andare dall'Olanda e forse dall'Europa. Ma a dir la verita' ho un po' paura di immaginare quello che voglio o posso fare. Ho fatto piccoli preparativi: ho dato lo sfratto alla bambina, ho revocato un paio di contratti come l'abbonamento al giornalino dell'associazione consumatori.
Cerco di ridurre al minimo i miei contatti umani. Cossiche' ad Agosto faccio il mio valigino e via. Nessuno da salutare, nessuno da ricordare.

Friday, February 16, 2007

Nata e cresciuta a Budapest, scappata di casa tredicenne per sfuggire al padre alcolizzato, e' vissuta per strada in compagnia della nemesi in bottiglia. Cauduta in basso, ma risorta in tempo, ha finito per concludere l'universita' dove guarda caso capitai pure io, qualche anno fa.

Ma non ci siamo conosciute allora. Le sliding door della nostra vita pur avendo avuto treni sullo stesso binario, non si sono aperte allo stesso tempo. Me la sono ritrovata con in mano il mio CV qui ad Amsterdam.

"Vedo che hai studiato alla Facolta' di Economia di Budapest"
"No, beh, si'...era uno scambio. Una specie di borsa di studio di un paio di mesi"
"Interessante, anche io sono passata di li' in quell'anno "

Piccola, bionda, muscolosissima con due piccoli occhi incazzati e temibili piantantati nel visto circolare. Mi metteva a soggezione il ritmo stretto con cui incalzava le domande del colloquio, mi spaventava il pensiero di averla come capo.

L'ho avuta come capo per breve. Poi io ho preso il suo posto e lei e' salita nella spirale gerarchica e adesso e' molto in alto. Abbiamo passato pause di caffe' a parlare, e poi serate e qualche nottata.

Questa strana creatura forzuta e maschile con storie di amori contorte, con tatuaggi ovunque, una Harley nel garage, cammina nuda per casa mentre io seduta sul suo divano gigantesco cerco di guardare il telegiornale.

Ascolto le storie delle donne che ha amato, degli uomini che ha amato, mi spiega come disarmare un assalitore con il coltello, non mi offre mai da mangiare perche' non cucina, mi da' consigli che suonano invariabilmente come minacce, accenna a volte a sua madre, a volte al padre morto.

Friday, February 02, 2007

Cioe' come casso ha fatto lo sa solo lei - Alla decima infusione di candeggina mi sono arresa all'evidenza. La bambina mi ha sproccato la tazza del cesso. Uno rigone sulla ceramica del water che pare una sgommatina nera.
Ma che ci ha lanciato dentro. Durante l'ennesima perlustrazione per convincermi che il rigone non lo posso spazzolare via ma e' proprio scavato mi sono guardata attorno e ho censito gli oggetti che potrebbe avere usato. Nulla mi e' parso ad uopo.

Ma perche' la bambina non e' diversa? Perche' non e' un po' piu' simile ad Annalisa o Ce o Nella, le mie compagne di Universita' di Trieste.

Loro 'ste robe mica le facevano ed erano persone. Non adolescenti dislessici con la parte sinistra del cervello ipersviluppata.

Poi ieri sera per la prima volta me ne sono fregata di questo eterno rapporto da carabiniere&ladro, madre&figlia, tom&jerry,toto'&peppino che si e' instaurato e tornata a casa con un bastimento carico carico di bocconi amari sono scoppiata a piangere in cucina. E quando mi ha detto "Dai non piangere" le ho buttato le braccia al collo per la prima volta in due anni. Ho inziato a piangere a piu' non posso.

Piangevo la solitudine di questi due anni con lei, i sacrifici con i soldi, piangevo tutti i ti amo di martijn e la lettera dell'altra, piangevo la stanchezza di non avere mai un giorno libero, piangevo la mancanza di una madre in tutta la mia vita, piangevo la paura di non essere intelligente abbastanza, giovane abbastanza, vecchia abbastanza, coraggiosa abbastanza.

Abbastanza

E piangevo un po' anche per la ceramica del cesso che a cambiarlo, svolano euri come niente

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